La vicenda dell’aggressione a Stefano Savi, sfigurato in maniera tremenda dall’aggressione di Alexander Boettcher e Martina Levato, tra le tante circostanze drammatiche mette in evidenza la differenza di giudizio, a seconda del tribunale, per reati simili. Sicuramente sarà detto che è impossibile una uniformità di giudizio e le circostanze sono differenti e che quel caso non ha le stesse aggravanti dell’altro. Ma il senso comune non comprende perché vi siano difformità così evidenti e marcate da un tribunale all’altro. Non so se il ministero di Grazia e Giustizia abbia un osservatorio per monitorare tali difformità e non cerchi di comprendere perché queste accadano. Altro aspetto nebuloso, per il senso comune, è la certezza della pena, oramai ridotto a triste slogan sulla stessa scia di “non ci sono più le mezze stagioni” e “si stava meglio quando si stava peggio”. La sentenza sancisce solo l’inizio del percorso per ridurre la pena, passando da un incomprensibile e scolastica “riduzione per buona condotta” che appare una battuta comica valutando che la buona condotta del condannato avviene in un regime di coercizione nel quale troverei normale punire nel caso in cui non vi fosse buona condotta, visto che il motivo della coercizione è relativo ad un fatto passato in giudicato. A maggior ragione, secondo la stessa logica, il cittadino che ogni anno non commette nessun reato dovrebbe avere un bonus per buona condotta. Se la pena non è punitiva ma rieducativa la certezza della pena pone in evidenza la garanzia che se sbagli è giusto che tu subisca una sanzione, durante la quale, la collettività ti riconosce il diritto di poterti preparare al meglio per reinserirti nella società. Siamo permeati da un incomprensibile senso di pietà verso coloro che compiono reato e un assenza d’interesse verso tutti coloro hanno subito il crimine. Secondo il senso comune, quanto più è eclatante il fatto, quanto più il legislatore cerca di mostrare come sia divenuto probo e retto il malandrino, folgorato da, un’insolita, passione per il buono e giusto. Non so se tutto questo sia pensato per sentirci più al sicuro, come potenziali colpevoli o pensando che tutti i lupi si possano trasformare in pecore e lascino ammansirsi dalla carezza del nostro sguardo benevolo. Questo schema piace e “vende”! Nella cinematografia è divertente vedere come in “Quella Sporca Dozzina” siano riabilitati con il gesto eroico delinquenti e maniaci, e come il cattivo, che diviene buono, piaccia e funzioni, ma la vita reale è ben altra cosa dal copione di un film e talvolta i morti restano abbandonati senza nessuna gloria e senza nessuna possibilità di riscatto. Privando per sempre le loro famiglie della loro presenza. Vorrei anche capire! Perché in un processo, specie con il rito abbreviato, il dolore della vittima o della sua famiglia non ha diritto di ascolto?! Perché è così tutto terribilmente sbilanciato verso colui che ha commesso il crimine?